Recensione: "Dove abita Dio" di Massimiliano "Massi" Fusai



Provincialismo e luoghi comuni. 
Esistenze fatte e finite nell'arco spazio-temporale di una semplice vita.
Ma cosa c'è di più importante della vita, appunto?
Tanti tra tanti, tante singole esistenze comuni, fotocopie di esseri umani che abitano in ogni provincia d'Italia.

Si potrebbe definire, così, il libro del poliedrico Massi Fusai, "Dove abita Dio", pubblicato dalla Pluriversum Edizioni, perché l'autore descrive molteplici personaggi, rappresentanti ognuno di noi. Nei nostri "credo" e soprattutto nei nostri difetti.

Politica spicciola, malattia mentale, risurrezione, anoressia e voglia di emergere. Soprattutto quest'ultima è il filo conduttore del romanzo.
I protagonisti gridano aiuto, urlano: "Sono qui, esisto!".
Voglia di uscire dalla superficialità di una vita, dove nessuno si domanda: "Cosa posso fare per gli altri?", dove gli altri nemmeno esistono, se non come comprimari di una quotidianità spenta che si consuma lentamente ma non troppo.

Lì, su quel monte, che i protagonisti raggiungono per vederci chiaro, si trovano i perché e le soluzioni della propria esistenza.
Lì, tra la vista dell'immenso e una macchina parcheggiata. Lì abita Dio.
Come se fossimo parcheggiati qui, in attesa di qualcosa, o semplicemente nell'attesa di scoprire chi siamo. Come se tutte le soluzioni si potessero comprare con cinquanta euro alla volta.
Perché la vita, si sa, a volte è un po' puttana.


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